Dr. Mario Nicolosi Specialista in Ortopedia e Traumatologia Specialista in Fisiatria
Fratture diafisarie di clavicola - Notizie storico-statistiche
Le fratture diafisarie della clavicola interessano tutte le età: dalla nascita (fratture ostetriche) sino alla vecchiaia. Rappresentano mediamente il 5 % di tutte le fratture e il 30% di quelle dell'infanzia. Raggiungono la maggiore incidenza tra i 13 e i 20 anni. Decrescono sensibilmente dopo i 45 anni. Il rapporto uomo-donna è di 2 a 1. Il lato sinistro è modicamente più interessato del destro: 1,2/1.
La classificazione più usata è quella di Allman del 1967 che divide le fratture in mediali, laterali e del III medio. Le fratture del III medio sono di gran lunga le più frequenti tra i tre tipi. Secondo Neer rappresentano l'80% mentre le laterali il 15 % e le mediali il 5 %, Secondo Nordqvist e Pettersson sono distribuite in 76 %, 21 % e 3 %. Rowe invece ne ha riscontrate l'82 % nelle diafisarie, 12 % nelle laterali e 6 % nelle mediali. Per Robinson le fratture del III medio rappresentano il 69,2 %, le laterali il 28 % e le mediali il 2,8 %. La percentuale sale ancora a favore delle fratture del III medio se si considerano solo le fratture dell'infanzia e dell'adolescenza.
Più recentemente sono state proposte nuove classificazioni che meglio si adattano ad una valutazione prognostica e quindi a una scelta terapeutica. La più interessante ci sembra quella di Robinson che, nel 1998, ha ulteriormente diviso i 3 tipi principali in ulteriori sottotipi. Per le fratture del III medio, oggetto di questo lavoro, sono state individuate 4 ulteriori classi: composte, angolate, scomposte in 2 o 3 frammenti e scomposte pluriframmentarie.
Tutte le casistiche da noi controllate concordano nel gran numero di guarigioni avvenute con il trattamento conservativo che nel corso degli anni si è andato evolvendo ed è passato dagli apparecchi gessati ai più comodi ed efficaci bendaggi a 8. Ma tutte le casistiche riportano anche dei casi non guariti incruentemente per i quali si è dovuto ricorrere alla terapia chirurgica. Siamo andati ad analizzare le statistiche più significative, confrontandole anche con la nostra, per cercare un comune denominatore che potesse aiutarci nella indicazione terapeutica.
Nella casistica di Robinson solo il 6 % di tutte le fratture di clavicola (laterali, mediali e del III medio) hanno richiesto il trattamento chirurgico. Per quanto concerne le fratture diafisarie, tema di questo lavoro, la percentuale di fratture esitate in pseudoartrosi, è stata del 4,3%. Tutte queste fratture erano scomposte, a 2 o più frammenti, e l'incidenza era lievemente più alta nei traumi ad alta energia ( cadute dall'alto, incidenti della strada, traumi diretti) mentre ininfluenti si sono rivelati il sesso e l'età. La percentuale di pseudoartrosi era più del doppio (9,4%) nelle fratture a più frammenti rispetto a quelle a 2 frammenti ( 4,3%). Robinson quindi conclude che il fattore prognostico sfavorevole, nelle fratture del III medio di clavicola è la scomposizione della frattura.
Un'altra interessante casistica è quella di Wilkins e Johnston che hanno controllato 33 pazienti affetti da pseudoartrosi di clavicola cercando di individuare le cause, o almeno i fattori predisponenti, che avevano indotto la pseudoartrosi. Anche questi Autori hanno posto l'accento sulla scomposizione della frattura in quanto, nella loro casistica, il 68% delle pseudoartrosi aveva come quadro iniziale una frattura scomposta pluriframmentaria del III medio. Nel 23% di queste si trattava di pazienti affetti da politraumi (bacino, colonna, coste, ecc.) per cui, notevole importanza assume, nel determinismo della pseudoartrosi, la violenza del trauma. Gli Autori hanno posto anche l'attenzione sulla posizione dei frammenti: quando uno di questi si trova ampiamente scomposto e dislocato nel sottocute, essi sostengono che, parimenti a ciò che succede per una tibia, la scarsa vascolarizzazione influisce negativamente sul processo di consolidazione. In questa casistica vi sono anche il 25% di rifratture che spingono gli Autori a pensare come l'area affetta dalla frattura di clavicola, rimanga più fragile a un nuovo trauma, anche dopo lungo tempo.
Un'altra importante considerazione va fatta sulle ripercussioni che la frattura può indurre nell'acromion-claveare. Un interessante studio di Edelson su 300 acromion-claveari del Museum of Natural History in Washington, su ulteriori 11 acromion-claveari del Museum of the Royal College of Surgeons of Edinburg e su 20 pazienti affetti da frattura della clavicola ha dimostrato come non vi siano problemi di dolore o di funzione a livello di questa articolazione in seguito ad una frattura di clavicola. Nei pochi pazienti infatti dove era insorta un'artrosi a livello dell'acromion-claveare non vi era comunque nessun tipo di disturbo. Anzi l'accorciamento della clavicola otteneva lo stesso effetto di un intervento tipo Mumford o di una resezione dell'estremo distale della clavicola.
Noi abbiamo controllato le fratture di clavicola, trattate incruentemente, in soggetti di età superiore ai 15 anni, giunte presso il Pronto Soccorso dell'Istituto Ortopedico Galeazzi negli 1992, 1993 e 1994. Sono stati scelti volutamente anni non lontani per evitare che un intervallo troppo lungo desse luogo a patologie come sindromi conflittuali, lesioni della cuffia o altro tali da sovrapporsi agli eventuali postumi della frattura. Abbiamo anche controllato tutte le pseudoartrosi operate presso l'Istituto Ortopedico Galeazzi dal 1965, data della sua fondazione, sino ad oggi.
Le fratture recenti di clavicola sono state 90, di cui 57 maschi e 33 femmine. Il lato colpito maggiormente è stato il destro con un rapporto di 49 a 41. Le fratture del III medio erano 73 (81,1%), le laterali 15 (16,7 %) e le mediali 2 (2,2 %). Tutte le fratture sono state trattate con bendaggio a 8 per un periodo che è andato da un minimo di 4 settimane a un massimo di 8 settimane. Sono stati rintracciati e interrogati telefonicamente 54 pazienti (pochi hanno accettato di venire a controllo) ed è stato impiegato il metodo del Simple Shoulder Test per valutare i risultati. Solo 9 di questi pazienti hanno lamentato disturbi peraltro modesti. Il postumo più frequente ( 6 pazienti) è stato quello di non poter portare in mano un peso di 10 kg.
Le pseudoartrosi che abbiamo controllate sono state 22. Dalla
analisi delle cartelle è emerso che 10 volte era stato eseguito
un intervento di osteosintesi e 2 volte un apparecchio gessato
esitati poi in pseudoartrosi. Le fratture trattate
incruentemente e poi non guarite erano nella maggior parte
fratture scomposte pluriframmentarie.