Dr. Mario Nicolosi Specialista in Ortopedia e Traumatologia Specialista in Fisiatria
La protesi di spalla nelle fratture inveterate della testa dell'omero
La protesi di spalla sta attraversando un momento di sempre maggiore diffusione e le indicazioni alla sua utilizzazione sono sempre più numerose e precise.
Tra queste indicazioni vi è quella delle fratture non recenti dell'estremo prossimale dell'omero. E' questa una chirurgia difficile, alla quale bisogna avvicinarsi con già una buona esperienza di impianti protesici su fratture recenti o su artrosi primaria. I problemi che sono insorti infatti durante la nostra ATTIVITÀ chirurgica e i risultati ottenuti sono tali da considerare utile ed elettivo l'intervento di protesizzazione solo se esistono delle condizioni cliniche non altrimenti trattabili. Devono essere quindi presenti un dolore persistente, ribelle alle comuni terapie mediche e fisiche, una motilità grandemente ridotta che non permette al paziente lo svolgimento delle più comuni ATTIVITÀ quotidiane. Un altro elemento importante e indispensabile è la motivazione del paziente che deve conoscere ed accettare i limiti di miglioramento ai quali andrà incontro e, ciò nonostante, deve essere risoluto a raggiungerli eseguendo con caparbietà e costanza la rieducazione postoperatoria.
Queste restrizioni all'indicazione chirurgica nascono dalle numerose difficoltà che bisogna risolvere durante un intervento di protesizzazione in una frattura inveterata dell'estremo prossimale dell'omero e che devono sempre essere tenute presenti:
1) La retrazione delle tuberosità è uno dei problemi tecnici più frequenti da risolvere in quanto spesso, con la conseguente retrazione tendinea, non è agevole posizionarle correttamente per dare il giusto punto di leva ai rotatori.
2) La pseudoartrosi, a volte presente, rende ancora più difficile il consolidamento dei frammenti.
3) La viziosa consolidazione, costante di questo tipo di frattura, costringe a complesse osteotomie e a sintesi precarie. Inoltre può ostacolare l'introduzione dello stelo protesico omerale.
4) La possibilità di interventi precedenti aumenta il rischio chirurgico di infezione.
5) Le retrazioni capsulari e ligamentose, anch'esse abituali, rendono tecnicamente più complesso l'intervento, costringendo spesso a tecniche di allungamento e riducendo di molto le probabilità di miglioramento della motilità.
6) La capsula può presentare anche importanti lassità in caso di lussazioni inveterate sia anteriormente che posteriormente.
7) La concomitanza di danni della cuffia dei rotatori (anche questa evenienza frequente) pone importanti problemi sul tipo di protesi da impiantare (cefalica o totale o inversa) e sulle sue misure ( una protesi più grande limita i danni da frizione sulla glena e la migrazione in alto della stessa, ma riduce i movimenti).
8) La possibile presenza di danni nervosi può vanificare il miglioramento ottenuto sotto il profilo della motilità passiva.
9) La perdita di sostanza ossea (più o meno importante ma abituale) può rendere molto problematica la ricostruzione delle tuberosità e la loro continuità con la diafisi omerale.
10) L'accorciamento della diafisi ( evenienza per fortuna rara) costringe a volte a trapianti ossei per dare giusta tensione al deltoide e stabilità alla protesi.
11) L'osteoporosi ( anch'essa sempre presente e di solito di grado elevato) aumenta il rischio di fratture durante le manovre chirurgiche.
Per cercare di risolvere questi problemi bisogna pianificare l'intervento con cura e porsi altresì nelle condizioni di poter modificare, in qualunque momento, il primitivo piano operatorio.
1) Esame radiografico accurato utilizzando, oltre le posizioni standard, l'ascellare di Velpeau, la TAC e, se necessario, la RMN.
2) Misurare la lunghezza del braccio controlaterale nelle gravi perdite di sostanza con importante accorciamento della diafisi omerale.
3) Posizionare il paziente in maniera da poter eseguire, se indispensabile, un accesso chirurgico posteriore quando si prevedono grosse difficoltà a mobilizzare il trochite e il tendine del sovraspinoso retratti.
4) Sezionare parzialmente l'inserzione del tendine del grande pettorale dall'omero (questo tempo chirurgico, nella nostra esperienza, non è quasi mai necessario nell'impianto di una protesi cefalica in fratture recenti).
5) Sezionare il ligamento coraco-omerale e, ove necessario, il ligamento coraco-acromiale.
6) Eseguire un accurato release delle aderenze che la cuffia contrae con la capsula, l'acromion, l'articolazione acromion-claveare e la borsa.
7) Eseguire una osteotomia del trochine, se questi è così retratto medialmente da impedire l'accesso all'articolazione, mobilizzando accuratamente il tendine del sottoscapolare per ottenere la maggiore extrarotazione possibile. La piccola tuberosità dovrà essere poi reinserita o, se necessario, sacrificata per permettere la riparazione di eventuali lesioni della cuffia ruotando il tendine del sottoscapolare.
8) Eseguire un'osteotomia del trochite se questo è viziosamente consolidato in retrazione tanto da rendere impossibile il posizionamento della testa omerale. Se, invece, la retrazione del trochite non è importante, sarà più vantaggioso conservare la continuità ossea e, per realizzare l'alloggiamento della testa protesica, asportare, dall'interno verso l'esterno, solo la quantità di osso indispensabile.
9) Sezionare, ove possibile, il tendine del sottoscapolare quanto più lateralmente possibile e scollarlo dalla capsula che dovrà essere incisa quanto più medialmente possibile. Il tendine così isolato potrà essere inserito più medialmente nel caso di limitazione dell'extrarotazione o utilizzato per riparare eventuali danni della cuffia.
10) Prestare particolare attenzione, in caso di lussazione inveterata sia anteriore che posteriore, alla presenza di ampie tasche capsulari praticando accurate capsuloplastiche per evitare instabilità o lussazioni dell'impianto.
11) Eseguire, in caso di reinterventi, un esame colturale.
Dall'esame della nostra casistica si evince come i risultati siano soddisfacenti per quanto riguarda il dolore, ma ancora mediocri, nella media, per quanto riguarda la funzionalità: si passa infatti da pazienti che dopo l'intervento hanno recuperato buona parte della loro motilità a pazienti in cui il movimento è rimasto pressoché invariato.
Abbiamo avuto, a dimostrazione di quanto sopra descritto, un caso di infezione e un caso di frattura intraoperatoria. I tempi operatori sono stati sempre notevolmente più lunghi rispetto agli altri interventi di protesizzazione e le perdite ematiche sono state sempre mediamente importanti.
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